IL GATTO NERO, di Letizia Russo, liberamente ispirato a The black cat di Edgar Allan Poe. Regia di Clemente Pernarella. Musiche dal vivo Stefano Switala. Movimenti di Barbara Altissimo. Disegno luci di Gianluca Cappelletti. Con Elisabetta Anella, Melania Maccaferri, Marta Jacquier.
Effimera Teatro, Lestra.
Nel racconto di Poe cui il testo si ispira, il protagonista riporta la propria vicenda ovvero quella di un uomo appassionato del suo gatto nero che lentamente precipita in un inferno di dissoluzione e dolore che lo porterà a perdere il controllo del proprio destino. A quel punto il suo amato gatto diviene l’oggetto della sua ira, il bersaglio della sua violenza, lo strumento della sua rivalsa.
Nel lavoro della Russo la storia è raccontata dal punto di vista del gatto. L’inversione del punto di vista apre una possibilità di approccio narrativo totalmente nuova, intima e ancora più crudele. Troviamo un gatto con la testa fracassata che parla al di là di una parete dove è stato murato, vivo, dal suo padrone che il gatto avverte muoversi oltre il tramezzo che li separa. La potenza nella scelta dell’io narrante si disvela pienamente nell’approccio al racconto ed alle recriminazioni del protagonista che, in quanto animale, elimina dal racconto ogni sovrastruttura estranea alla pura istintualità. Il gatto ha amato, e forse ama, per ragioni semplici, ha subito violenze ed angherie perché convinto che non fossero prodotte dalla malvagità. Convinto che l’uomo non abbia agito spinto dalla volontà ma da cause incidentali, probabilmente anche mosso dal bisogno di essere compreso, accolto e amato. Si delinea lentamente il profilo, crudo, di una relazione come quelle comunemente definite “tossiche”. Individui legati dal bisogno, chiusi in un rapporto in cui una errata valutazione del sentimento pone l’uno al servizio dell’altro. Rapporti in cui la comprensione comporta l’accettazione di inaudite sofferenze. L’individuo destinato a soccombere non riesce a percepire l’altro come carnefice non volendo o non potendo accettare un’immagine del partner diversa dal ruolo di vittima: vittima del mondo, degli altri, delle circostanze, talmente tanto offeso, magari anche dal suo stesso fallimento e dalla sua pochezza, da meritare comunque comprensione ed amore. La violenza subita, diventa motivo certamente di rabbia ma un gatto non riesce a non leggere in questa violenza una forma di affetto e soprattutto non chiede per sé che un piccolo posto nella vita dell’altro, pochi metri di spazio in cui muoversi tra le gambe del suo padrone mentre cammina. Il tema, di stupefacente attualità viene posto tuttavia su un piano distante dal quotidiano. Il tema del genere, come elemento di attualità, non è disconosciuto nella messa in scena. Il testo nato come un monologo viene trasposto in un’opera a tre voci femminili, evidenziando la tensione naturale a questo genere di rapporti e la tragica dipendenza che queste relazioni sono in grado di creare.